Appunti dal workshop di choro di
Henrique Neto
di Giovanni Guaccero
Il 24 e 25 maggio 2019, quasi a conclusione del secondo anno del “Laboratorio Choro”, si è tenuto presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma, con il patrocinio dell’Ambasciata del Brasile in Italia, un workshop di choro di Henrique Neto, con la collaborazione del percussionista Carlos César e il sostanziale contributo sia della flautista Barbara Piperno, per l’aiuto nella realizzazione pratica degli esempi musicali e per le interessanti osservazioni, sia del cavaquinista Fabio Falaguasta che insieme a me dirige il Laboratorio Choro della scuola, per la preparazione degli allievi nelle settimane precedenti.
Il workshop ha toccato alcuni aspetti
che possiamo trovare già nel “Manual do Choro”, ma che se fossero stati
relegati solo alla pagina scritta non sarebbero potuti “arrivare” allo stesso
modo di come è accaduto attraverso la presenza fisica dell’autore e attraverso
il suonare insieme a lui. Il seminario di Henrique e Carlos è stato
interessante sia per i contenuti toccati (in particolar modo per chi sta
cominciando a muovere i primi passi nello choro), sia per chi può già
considerarsi uno chorão che tenta a
sua volta di divulgare la pratica dello choro qui in Italia, perché si è potuto
osservare una metodologia didattica – quella di Brasília – differente sia
rispetto alle modalità di trasmissione tipiche delle varie e diverse forme di rodas de choro, sia rispetto alla
pratica didattica di altri centri con cui siamo venuti a contatto, dalla Casa
do Choro di Rio de Janeiro (soprattutto Maurício Carrilho e Luciana Rabello),
dove Fabio Falaguasta ha studiato e da dove in questi anni ha portato
informazioni utilissime al Laboratorio Choro, sia rispetto ai musicisti di São
Paulo come Alexandre Ribeiro e Roberta Cunha Valente, arrivati qualche anno fa
per dei seminari in Italia, grazie alla attività quasi decennale di
divulgazione dello choro del duo Choro de Rua (Marco Ruviaro e Barbara
Piperno).
Nella prima sessione del 24 sera, Henrique Neto ha cominciato parlando della
didattica sviluppatasi in questi venti anni nella scuola di Brasília (nata nel
1998), e di come il tentativo di trasmettere in questo modo la conoscenza dello
choro e la sua essenza sia una sfida nuova anche per il Brasile. Il “Manual do
choro” è frutto di un lavoro di ricerca durato quattro anni, nel cui ambito si
sono analizzati circa 133 brani di choro, osservandoli da punti di vista
diversi (armonia, ritmo, melodia, forma), cercando di individuare quali siano i
principi che li accomunano. La sfida del percorso suggerito è quella di tentare
di mantenere la spontaneità di questo modo di fare musica, cercando allo stesso
tempo di organizzare e strutturare il lavoro didattico. Nella pratica
tradizionale si tendeva a trasmettere “tutto insieme”, mentre nel manuale e
nella metodologia di Brasília si cerca di separare
i vari aspetti, che abbiamo elencato prima riportando l’indice del volume,
approfondendoli attraverso esempi scritti e esempi audio allegati o suonati dal
vivo. L’aspetto ritmico è la base di questa musica, e per questo possiamo
considerarci fortunati per aver potuto contare sull’aiuto di uno dei maggiori
percussionisti brasiliani, Carlos César Motta, un musicista che, solo per
citare alcuni nomi, negli anni recenti ha accompagnato per lungo tempo cantanti
come Maria Bethania e Elza Soares.
Come primo brano si è lavorato
sul classico Flor amorosa di Joaquim
Callado, concentrandosi su uno degli aspetti principali dello choro che è il contrappunto. Dopo alcune osservazioni
sulla strutturazione dei temi e sulla forma (che “deve essere chiara per tutti”),
su alcuni comportamenti che è utile tenere nella prassi esecutiva (“se ci si
perde, conoscendo la forma, si può rientrare alla ripetizione di un tema o alla
parte successiva”), si sono visti dei modi possibili di pensare e sviluppare i percorsi
contrappuntistici. La cosa importante è “non stare dietro la partitura, che è
solo un mezzo per studiare”. Le musiche vanno memorizzate, e va capita la
struttura armonica, soprattutto per gli strumenti a fiato che hanno più
problemi riguardo alla percezione dell’armonia. E così Henrique ci fa sentire,
partendo dalle linee di basso, alcuni esempi di linee contrappuntistiche, che vanno
imparate “a orecchio” e –
anche – inventate in forma estemporanea, sia sulla parte A in Do maggiore sia
sulla parte B in La minore. E forse tutto questo potrebbe essere uno stimolo
per chi – come me, e tanti altri – negli studi conservatoriali ha “subito” una
didattica del contrappunto (e dell’armonia), totalmente relegata agli esercizi
scritti, per provare ad avvicinare lo studio della musica tonale ad aspetti
legati anche alla pratica della musica d’insieme. Il tutto è mirato, non tanto
al risultato finale, quanto allo sviluppo e al potenziamento di determinate
capacità. E il suggerimento di Henrique è quello di “non scrivere”. Il modo
migliore per fissare tutto questo è, caso mai, registrarlo. Bisogna ascoltare e
ripetere, cercando di comprendere le connessioni tra un accordo e l’altro per
poter poi creare le proprie melodie. Il contrappunto poi, può essere arricchito
anche con pochi elementi, non eseguendo sempre la stessa cosa, ad esempio inserendo
variazioni ritmiche (una variante tipica, ad esempio, è quella con le sestine).
Le linee contrappuntistiche partono dalla chitarra, in particolare dalla
chitarra 7 corde, ma possono essere svolte anche da altri strumenti, basta che
non siano eseguite in registri troppo acuti, per non “competere” con la
melodia, e, soprattutto, non vanno fatte meccanicamente e di continuo. E così viene
colta l’occasione per presentare le funzioni
dei vari strumenti all’interno del tipico “conjunto regional” di
choro: il cavaquinho che svolge una funzione ritmica nel registro acuto, la
chitarra 6 corde che sviluppa lo stesso (o un complementare) schema ritmico (levada) nella zona media, la chitarra 7
corde che sviluppa i contrappunti nella zona grave (baixaria), il pandeiro che dà il sostegno ritmico e gli strumenti
solistici che espongono il tema e fanno le variazioni.
Passando al secondo brano, Corta–Jaca di Chiquinha Gonzaga,
Henrique e Carlos parlano di più dell’aspetto
ritmico e dei diversi ritmi che vengono usati nello choro. In particolare,
in questo caso, si tratta del maxixe,
e viene colta l’occasione per far ascoltare alcuni esempi di incastri ritmici
tra chitarra e pandeiro. Carlos parla della clave
del maxixe, che fa parte di quei
ritmi derivati dal “paradigma del tresillo” (il cosiddetto ritmo 3-3-2), e si
comincia a lavorare prima sulle formule di accompagnamento, sulla levada del violão che deve essere molto “ritmica” e “staccata”. Poi
successivamente inserendo le baixarias,
in alcuni punti importanti (“quasi obbligatori”), nei quali in sostanza è la 7
corde a stabilire il rivolto che in un dato momento viene usato dal conjunto. La cosa fondamentale nello
choro è creare movimento, stimolarsi a vicenda. Fondamentale è l’interazione.
Ogni accompagnatore suggerisce idee al solista e viceversa. Il dialogo è la
parte bella dello choro, e ogni musicista darà i propri suggerimenti, diversi
da quelli di un altro musicista, che porteranno gli altri a reazioni ogni volta
diverse. Ai chitarristi di provenienza classica viene poi suggerito di non aver
paura di “sporcare il suono”, perché questo fa parte del linguaggio. Viene
anche poi sottolineata l’importanza delle dinamiche, in particolare nel
rapporto tra le vari sezioni di un brano. Riguardo al contrappunto, uno
strumento a fiato, in brani come questo, deve pensare di essere un po’ uno
strumento ritmico, e tutto deve essere molto staccato e percussivo. E vengono
portati come esempio due dei maggiori strumentisti a fiato brasiliani, per la
loro abilità di sviluppare contrappunti: il trombettista Silverio Pontes e il
trombonista Zé da Velha. Il brano viene suonato varie volte, stando attenti
ogni volta ai vari aspetti toccati: formule ritmiche, baixarias, contrappunti.
Per chiudere la prima sessione
del workshop il brano Doce de coco di
Jacob do Bandolim, è usato per presentare altri tipi di levadas della chitarra, utilizzate per l’accompagnamento dello
choro: dal ritmo tutto in semicrome, a quello con l’accento sul secondo
sedicesimo ad altri. L’importante è “interpretare”, e utilizzare tutte le
variazioni possibili: non bisogna prendere un ritmo e portarlo avanti
dall’inizio alla fine. Un discorso a parte sono poi le chiusure dei brani di
choro, che in genere, essendo in ritmo binario, concludono con una frase sul
secondo tempo della battuta, mentre nello choro-sambado la chiusura è in genere
con una frase di due battute (essendo – aggiungo io – il samba strutturato su
quattro tempi, distribuiti in due battute da due quarti).
E la seconda sessione del 25 mattina è dedicata proprio al samba e allo choro sambado. Prima di tutto Carlos César
propone degli esercizi sulla cellula ritmica di base del samba, che è quella
utilizzata dal tamborim, presentando inizialmente il tipo di samba con il ciclo
che comincia in battere (che io definirei con un ritmo 2-2-3 2-2-2-3 con inizio del
ciclo commetrico). Dapprima eseguendo il ritmo con le mani e poi sugli accordi
della chitarra (sviluppandolo poi anche battendo tutti i sedicesimi e mettendo
in evidenza lo schema ritmico solo con degli accenti). Un esempio di questo
tipo di samba è Na Glória di Raul de
Barros. Poi il ritmo viene “girato” sviluppando lo stesso percorso (sul ritmo
2-2-2-3 2-2-3, con inizio del ciclo contrametrico) e un esempio di questo tipo (che
è il ritmo più frequente per il samba) è Noites
cariocas di Jacob do Bandolim. Da ciò si evince che nel samba
l’accompagnamento non è un fondo neutro, ma è sempre relazionato agli accenti
della melodia. È sempre la melodia che suggerisce il tipo di accompagnamento
necessario in un brano. È possibile anche “girare” la levada rispetto alla melodia, ma suonerebbe un po’ duro e strano,
mentre “assecondando” la melodia viene tutto molto più naturale, anche perché
l’anticipo di sedicesimo della melodia, nel samba come nella bossa nova,
comporta un anticipo dell’armonia utilizzata nella battuta seguente. Vengono così
svolti degli esercizi su alcuni semplici giri armonici nelle due modalità ritmiche
possibili (C – G7 oppure C – A7 – Dm – G7, ecc.). Generalmente, se si ha un
ritmo armonico di due accordi per battuta, potrebbe risultare più morbido
utilizzare un accompagnamento sviluppato solo con la cellula della sincope che
si ripete su ogni tempo.
Il brano scelto da suonare con
ritmo di samba è Benzinho di Jacob do
Bandolim, e Carlos ci spiega il discorso delle “battute di entrata”: nel samba “in levare” (che è quello più tipico),
nel primo ciclo di due battute (= 4 movimenti), la prima battuta viene
sostituita in genere da una battuta di entrata in battere, suonata dagli strumenti
che utilizzano la clave base:
tamborim, cavaquinho e chitarra. Non si entra mai né con l’anticipo né con la
pausa di sedicesimo (probabilmente per un bisogno di stabilità all’inizio dei
brani), come in parte avevamo già sperimentato nel nostro Laboratorio Choro
durante questi due anni. Le battute di entrata più tipiche sono quella con le
“quattro crome”, quella con il ritmo 3-3-2, oppure quella con la figura della
sincope. L’incipit melodico di Benzinho
sembra in questo senso incorporare questo bisogno di stabilità nell’entrata del
tema che è in Re minore: tre semicrome in anacrusi (Fa-Sol-Sol#) si appoggiano poi
sul La in battere, ma poi già dalla terza battuta la melodia sembra suggerire
con l’anticipo melodico, un ritmo di accompagnamento “in levare”. Il brano
viene eseguito prima più lento e poi più veloce, inserendo successivamente alcuni
break. Henrique ci insegna poi alcuni “trucchi” chitarristici, come quelli
utilizzati da Baden Powell, che, sporcando molto il suono (stoppando un po’ le
corde con la mano sinistra), riusciva a trasformare la chitarra in uno
strumento a percussione, che imita un po’ il ritmo del pandeiro.
Apanhei-te cavaquinho di Ernesto Nazareth è poi il pretesto per
parlare della levada della polka, danza di origine europea così
fondamentale per la nascita dello choro. Dall’originaria polka pianistica di
Nazareth, facendo riferimento alla prassi esecutiva dello choro, si rileva come
nella seconda e terza parte sia possibile andare più verso un ritmo di choro,
che può essere inteso anche come una sorta di samba amaxixado, come si può evincere dalla melodia. A proposito
della parte B suggerisco come sia importante avere la consapevolezza della
funzione di ogni nota, soprattutto per gli strumenti a fiato: la melodia
scritta è chiaramente molto pianistica, ma se abbiamo la capacità di cogliere
quali siano le note fondamentali (ad esempio le appoggiature e le loro
risoluzioni), scorporandole dalle ornamentazioni (in questo caso le
ornamentazioni delle appoggiature), possiamo ricavare una melodia che è di esecuzione
molto più semplice per gli strumenti a fiato.
Una volta eseguito una prima
volta, si passa a esaminare i contrappunti più tipici utilizzabili per le parti
A e B, e poi soprattutto le diverse possibilità di variazione (come viene ben
suggerito nel manuale). Come suggerisce Henrique, lo choro è molto meno
improvvisato del jazz e le variazioni sono sempre molto vicine alla melodia
originale. Prendendo spunto dalla suddivisione in 4 periodi (o frasi) di 4
battute, che vanno a formare le tipiche 16 battute di una parte di choro,
vengono sviluppati esercizi, in cui si suonano a turno 4 battute di tema e 4
battute di variazione, inserendo via via anche vari tipi di abbellimenti.
Attraverso tutte queste cose si costruisce così un arrangiamento che rispecchia
l’estetica dello choro, e, come dice Henrique, il passo successivo dovrebbe
essere quello di… “dare fuoco alle partiture” e “tocar de cor”, suonare con il cuore, ossia suonare a memoria. Quando si suona senza leggere è lì che scatta la
magia, e si riescono anche a cogliere nei gesti e negli sguardi degli altri musicisti
i più svariati suggerimenti.
La terza ed ultima sessione del 25 pomeriggio è stata dedicata più
alla parte armonica e formale dello choro, dopo aver dedicato le altre sessioni
maggiormente alle questioni ritmiche e melodiche.
Sviluppare la consapevolezza
formale e armonica di quello che si sta suonando è un aspetto fondamentale
dello choro, e come nel parlato, “se non sai bene cosa significa una frase, non
puoi usarla bene nel discorso”. Avere questa consapevolezza significa essere
più libero di sperimentare e giocare all’interno del linguaggio. Come prima
cosa è importante aver chiara la struttura armonica dello choro, che, come si
evince dagli esempi più tipici, ha generalmente ogni parte strutturata in 4
periodi che hanno diverse funzioni: 1° periodo che enuncia l’elemento tematico
principale, 2° periodo che sviluppa o risponde a quell’elemento, 3° periodo che
presenta una riesposizione dell’elemento principale, e un 4° periodo conclusivo
che in genere inizia a partire dal IV grado. All’interno di questo percorso è
importante crearsi dei riferimenti nell’armonia e nella struttura del brano, in
modo che sia gli strumenti di accompagnamento che i solisti acquisiscano una
coscienza di quello che sta accadendo tonalmente. Vengono portati esempi come Sonoroso, o anche brani poi diventati
classici della bossa nova come Chega de
saudade (che, come gli choros in due parti ha ogni sezione di 32 misure,
suddivise in 4 periodi di 8 battute). È interessante notare come molti
musicisti brasiliani, da Dominguinhos a Guinga, non abbiano apparentemente una
piena consapevolezza delle strutture armoniche che creano, salvo poi avere un
orecchio armonico interno incredibile: il che significa che in realtà tutte le
funzioni dell’armonia tonale sono passate a un livello così profondo, che è
quasi pre-cosciente. Tutto il lavoro sull’armonia va fatto attraverso l’ascolto
e non solamente sulla carta. Viene poi fatta da uno dei partecipanti una
domanda a Henrique riguardo alle sostituzioni armoniche nello choro, ossia se
ad esempio sia corretto sostituire un accordo di V grado con una successione II–V.
Henrique risponde che questo è possibile, ma in alcuni casi potrebbe risultare
eccessivo: bisogna far “respirare” l’accordo. Lo choro ha già molti rivolti,
molte baixarias, e a volte una
armonia più semplice consente più libertà nello sviluppare contrappunti. Segue
poi una analisi armonica e formale dei brani suonati, un aspetto importante che,
facendo acquisire una certa consapevolezza delle strutture, consente ai
musicisti di potersi inserire quasi estemporaneamente anche in brani che non si
conoscono. In conclusione vengono poi suonati tutti i brani studiati nei due
giorni.
Terminato il workshop, così denso e ricco di spunti, c’è solo il tempo
di prepararsi per andare a sentire Henrique e Carlos nel secondo dei concerti
previsti in questa settimana a Roma, presso il Baffo della Gioconda a S.
Lorenzo. E i due musicisti la sera incantano il pubblico con uno spettacolo di musica strumentale brasiliana di un
livello altissimo, a cui raramente capita di assistere nella Capitale (con un
repertorio che va da Baden Powell a Pixinguinha, da Raphael Rabello a Yamandu
Costa, fino a brani originali di Henrique). Per nostra fortuna questi due
straordinari musicisti in questo periodo risiedono a Porto, e anche per questo
l’idea da noi auspicata di sviluppare insieme progetti artistici e didattici
potrebbe davvero risultare abbastanza realistica. Obrigado Henrique e Carlos!