Lo choro in Italia: trasmissione culturale e didattica

Roma, 28-09-2018
(Auditorium del CCBI dell'Ambasciata del Brasile e Scuola Popolare di Musica di Testaccio).

Incontro di studi a cura di Giovanni Guaccero. Con Massimo Aureli, Roberto Dogustan, Fabio Falaguasta, José Magalhães, Gaetano Meola, Gianluca Persichetti, Barbara Piperno, Stefano Rossini, Marco Ruviaro, Giulia Salsone. Moderatore: Raffaele Bella.

Un confronto tra alcuni dei musicisti e operatori culturali italiani e brasiliani attivi nell’ambito della divulgazione e della didattica dello choro brasiliano. Cercando di porre in evidenza quali possano essere fuori dal contesto di origine le relative modalità di trasmissione culturale e apprendimento, quali metodologie didattiche è possibile attuare, quali modalità aggregative si possono favorire. Cercando di verificare se è possibile affermare in Italia un “punto di vista brasiliano” sulla musica popolare brasiliana, e nello specifico sullo choro, non necessariamente mediato da altre culture musicali, come il jazz o la musica erudita europea.


Una recensione di Lucrezia Zito:
"Non è la solita musica"


TESTO INTRODUTTIVO DI GIOVANNI GUACCERO

Lo choro brasiliano sempre più va diffondendosi nel mondo e in Europa, come pratica strumentale, come modalità di fare musica insieme (nella forma principale della roda), fino alle esperienze didattiche che vanno dalla EPM di Rotterdam al Club du Choro di Parigi, e ad altre esperienze. Anche in Italia, grazie anche all’attività di alcuni musicisti, lo choro si sta diffondendo nelle modalità e direzioni su esposte. Ma tanto più lo choro si diffonde fuori dal Brasile, tanto più si pongono le questioni della sua natura, della sua trasmissione culturale e della didattica in un contesto diverso da quello in cui è nato.

Tutto ciò porta a porci alcuni interrogativi. Consideriamo lo choro più un tipo di repertorio o più un modo di suonare e relazionarsi tra musicisti? E quanto lo choro è correlato agli altri generi della musica brasiliana? A tale proposito è opportuno precisare che, se è vero che come afferma Henrique Cazes “l’habitat naturale di questa musica è la roda”, allo stesso tempo è vero che si può fare choro anche in altre modalità, come ad esempio quella concertistica, tenendo conto che anche in altre espressioni della musica brasiliana (samba o MPB) è possibile riscontrare un approccio strumentale “choristico” (senza contare che anche lo stesso concetto di roda si presta a molteplici interpretazioni, dalle diverse modalità regionali, ai diversi luoghi in cui si pratica, dalla casa ai locali, ai luoghi all’aperto) e considerando la particolare natura dello choro, che è un linguaggio “popolare” influenzato della cultura afrobrasiliana, che però utilizza, ricontestualizzandoli, elementi della nostra tradizione classica.

In Brasile, a differenza del jazz negli Stati Uniti, solo da pochi decenni si è affiancata alla modalità di trasmissione intuitiva (tipica delle musiche popolari), una didattica più strutturata per lo choro, attraverso l’insegnamento nelle scuole di musica da parte di musicisti professionisti. Mentre fuori dal Brasile si pongono tutta una serie di problematiche. Come è possibile “apprendere” e “insegnare” lo choro? Che tipo di formazione dovrebbero avere i musicisti che lo divulgano? Che rapporto può intercorrere tra dimensione professionale e amatoriale? Non è facile dare delle risposte, perché se è vero che per noi europei lo choro è comunque un linguaggio fondamentalmente “altro”, essendo le sue radici barocche qualcosa di non più condiviso culturalmente, è vero anche che non è sufficiente una semplice rivendicazione di “brasilianità”: ossia, si pone la questione della conoscenza del linguaggio e delle sue forme di trasmissione e condivisione. Ma attraverso quali modalità?   

Se il presupposto è comunque, ovviamente, avere una competenza musicale (e tanto più ci avviciniamo a un linguaggio “altro”, tanto più siamo chiamati allo studio), non basta essere alfabetizzati musicalmente per poter approcciare un qualsiasi genere, tanto più in assenza del supporto di una tradizione orale condivisa, in particolare  per generi, come quelli brasiliani, che non sono stati “assorbiti” da noi a livello popolare come quelli nordamericani. E in assenza di una strutturazione didattica istituzionalizza, ci siamo inventati il nostro “percorso di studi”, attraverso l’ascolto, lo studio, i corsi, il suonare con musicisti brasiliani, tenendo conto che le opportunità di approfondimento che le giovani generazioni hanno oggi (come ad esempio i corsi presso la Casa do Choro di Rio de Janeiro), possono rappresentare un arricchimento anche per i tanti di noi che questa musica già da tempo provano qui a divulgarla rivolgendosi sia a professionisti che a dilettanti.

Uno dei punti più problematici della questione è che in Italia fatica ad affermarsi un “punto di vista brasiliano” sullo choro (e sulla musica brasiliana), “schiacciato” da una agguerrita didattica del jazz, che da decenni ha imposto le sue codificazioni teoriche che impediscono di cogliere l’autentica natura “barocca” della pratica contrappuntistica choristica, e da una tradizione classico-erudita troppo incentrata sul binomio scrittura/lettura che tende ad oscurare la natura prevalentemente orale, popolare e audiotattile della tradizione dello choro, che come tutte le culture musicali si trasmette soprattutto attraverso il contatto diretto (in genere di natura o didattica o  pratico-collaborativa), con chi pratica quella cultura, facendone parte.

L’incontro presso il CCBI vuole rappresentare un primo momento di riflessione teorica comune tra alcuni musicisti che operano nell’ambito dello choro in Italia, cercando di porre in evidenza sia come ciascuno ha “ricevuto” questo patrimonio culturale (esperienze professionali e di ambito  didattico), sia come ciascuno pensa che sia giusto trasmetterlo e divulgarlo (attraverso laboratori nelle scuole, pratiche di musica d’insieme, forme di associazionismo), tenendo conto che oggi rispetto al passato ci sono molte più possibilità, grazie alla diffusione della manualistica e del repertorio, grazie all’attività didattica di musicisti brasiliani e non nelle scuole di musica e nei conservatori, e grazie al rapporto diretto che si va sviluppando con alcune istituzioni brasiliane. Con l’obiettivo finale di cercare di far emergere sempre più in Italia un “punto di vista brasiliano” sulla musica brasiliana.